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Francesco Bosco [15/11/2025]
È sorprendente come i «cantastorie» che popolano il mondo del fumetto si ritrovino anche in altri campi, dal calcio alla musica, pronti a sparare sentenze dall’alba al tramonto.
Io, che vivo quasi esclusivamente di fumetti (con qualche incursione nella musica), ho anche una grande passione per la storia criminale degli anni ’70‑’80. Ebbene, in quel territorio le approssimazioni superano di gran lunga quelle che affliggono il fumetto. Niente, dunque, al confronto di quello che vedevo stamattina in un reel in cui si diceva che in Italia esistono solo 8-9 serie dalla celebra raccolta “1-29”. Beh , ma che cazzata… poi presentando un albo pure storpiato dal refilo e pieno di restauri.
Insomma, essendo romano e avendo abitato alla Magliana dal 1979 al 1989, ho voluto capire davvero come sia nata la famigerata Banda. Ho seguito i processi, letto gli interrogatori dei pentiti, letto libri (pochi, in realtà) e raccolto testimonianze di chi ha sfiorato quel gruppo. Proprio per questo mi stupisce vedere giornalisti che da anni scrivono sulla “Banda della Magliana” incappare in scivoloni da far rizzare i capelli, infilando il suo nome in qualunque vicenda, criminale o politica che sia. (Ora pare che anche la scomparsa del giudice Adinolfi, avvenuta nel ’94, sia da attribuire alla Banda. Nel ’94 la Banda della Magliana era a processo con tutti i suoi componenti ormai uccisi o arrestati)
Come è un errore, per esempio, associare alla Banda il rapimento di Emanuela Orlandi, l’attentato a Roberto Rosone, l’omicidio di Mino Pecorelli o la morte di Roberto Calvi. Quei fatti, e potrei citarne altri, vanno ricondotti a persone che costituivano un gruppo autonomo, radicato nel quartiere Testaccio, con finalità e contatti molto diversi. I capi della Magliana non furono nemmeno messi al corrente di attentati o manovre legate alla politica o ai servizi segreti.
Includere tutto nel “calderone” della Banda non rende giustizia alla complessità di quegli anni e ostacola la comprensione di ciò che accadde davvero.
Si trattava in realtà di tre gruppi criminali ben distinti: Ostia-Acilia, Trullo-Magliana e Testaccio. La loro unione fu temporanea e motivata da un obiettivo preciso: eliminare il clan dei Proietti di Monteverde, responsabile dell’omicidio di Franco Giuseppucci, uno dei leader più carismatici del nascente sodalizio.
Non si trattò dunque di un’organizzazione monolitica e coesa fin dall’inizio, ma di un’alleanza tattica, nata per vendetta e per ristabilire un equilibrio nel sottobosco criminale romano. Solo successivamente si cercò di dare una forma più stabile al gruppo, ma le differenze interne ma anche territoriali, caratteriali e strategiche, rimasero sempre forti.
Una volta conclusa la vendetta per l’omicidio di Franco Giuseppucci, iniziarono a emergere tensioni interne sempre più marcate. L’alleanza cominciò a sfaldarsi e, nel giro di poco tempo, si trasformò in una lotta sotterranea per il controllo degli affari e dei territori.
Altro territorio da esplorare è quello riguardante “il mostro di Firenze”, legato, come molti sanno anche al mondo del fumetto, e sul quale si odono cazzate sesquipedali… si veda “la teoria dell’acqua” e il modus operandi che, secondo alcuni luminari, vedrebbero Zodiac e il Mostro, incarnati in una stessa persona: tal Joe Bevilacqua.
Ma di questo ne parliamo alla prossima occasione