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Tito Lamberti [19/10/2025]
Sono cresciuto tra le pubblicazioni della Corno come Uomo Ragno, Devil e i Fantastici Quattro, quelle della Dardo come Miki e Il Grande Blek, e dei Fratelli Spada come Mandrake e L’Uomo Mascherato. E poi ancora Topolino, Tarzan, Braccio di Ferro, Tex, Diabolik, Flash Gordon e tantissimi altri. Ma il mio ingresso nel mondo dei fumetti è stato atipico, molto diverso da come lo raccontano molti appassionati. Non mi sono imbattuto in un albo per caso, né la lettura mi ha trasportato all’improvviso nel magico mondo delle nuvole parlanti. No, io i fumetti li ho avuti sempre in casa, fin da quando ero bambino. Anzi, c’erano da molto prima della mia nascita: mio padre era già un appassionato lettore e collezionista di tutto il materiale citato sopra.
Eppure, nonostante fossi nato nel 1976, fino ai dieci anni non avevo mai realmente preso in mano un albo. Tutto cambiò all’inizio del ’90, quando, cercando l’immagine di un uomo con l’arco per un logo da far realizzare a un mio amico, estrassi dalla teca di mio padre qualche volume. Tra questi, c’era un “promettente” Magazine.
Non trovai quello che cercavo ma iniziai a leggere quella rivista subito, e quella sera stessa, non appena mio padre tornò dal lavoro, gliene parlai. Lui mi spiegò immediatamente che esisteva un formato migliore per apprezzare appieno la storia e le vignette: l’albo originale si intitolava Lily e il cacciatore, con Ken Parker, ed era come doveva essere: in bianco e nero!
Fu allora che mi ricordai di un suo consiglio di qualche anno prima, quando mi aveva già suggerito di leggere Ken Parker - un consiglio che, all’epoca, avevo ignorato. Stavolta, però, decisi di fidarmi. Da Ken Parker il passo fu breve verso altri grandi classici che mio padre mi propose: Asterix, Blueberry e alcune avventure a puntate del Giornalino.
Fu l’inizio di un vero e proprio viaggio. Presto mi misi a esplorare in autonomia, guidato dall’istinto e dalle sensazioni, scoprendo riviste come Orient Express, Eternauta e Comic Art, e saghe indimenticabili come quella de Lo Sconosciuto di Magnus o H.P. Bergman di Manara.
Un tesoro che avevo sempre avuto in casa, senza mai accorgermene.
Oggi i fumetti li leggo molto meno, vedo tante proposte, soprattutto in libreria, ma, spulciando albi e volumi, mi sono accorto che gli autori non hanno più idee o perlomeno non più idee originali.
Di questo è difficile parlarne negli spazi internauti, a mia conoscenza sembra che esistano solo spazi dove l’estetica degli albi conti molto più che i contenuti. La mia sensazione è che nel mondo del collezionismo dei fumetti esiste una corrente che sembra aver smarrito il senso originario della passione: la lettura. Per molti collezionisti, infatti, il valore dell’albo si misura esclusivamente nella sua integrità fisica, nella rarità della copertina, nella presenza o meno di una piega invisibile. Gli albi vengono imbustati, sigillati, custoditi come reliquie: mai sfogliarli, toccarli, persino respirarci sopra. In questa ossessione per la conservazione perfetta, il fumetto smette di essere un racconto, un’emozione, e diventa un semplice oggetto da esporre. Così, molti di questi “collezionisti puri” ignorano completamente i tesori narrativi che tengono sotto plastica: storie intense, disegni straordinari, personaggi indimenticabili.
Vabbè, forse sono rimasto indietro coi tempi, ma mio papà, che non c’è più da dieci anni, non ricordo mi guardasse in cagnesco ogni qualvolta sfilavo un albo dagli scaffali.
Ringrazio questo sito per avermi ospitato e permesso di pubblicare pensieri che credevo fossero solo i miei. 