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Francesco Bosco [13/08/2025]
Era una sera dell’inverno del 1972. In cucina di mia nonna Rosa, l’aria era calda e profumata di caffè. Mia madre e le zie parlavano fitto, ridendo sottovoce, mentre le tazzine tintinnavano appena sui piattini. Gente di Napoli, mia nonna e le zie, sempre pronta al rito del caffè. Io, invece, ero rannicchiato sotto il grande tavolo di legno, con le ginocchia piegate stringendo tra le mani un albo di Tex, il numero 135: "Diablero". Non so dire se l’avessi comprato direttamente io o se me lo avesse preso mia madre, ma so con certezza che quella sera lessi uno dei capolavori assoluti del Ranger, una delle storie che ho più amato dell’intera serie.
Fu un’esperienza totalizzante. Nascosto sotto quel tavolo, con le voci ovattate dei grandi sopra la testa, venni risucchiato nel mondo oscuro delle Sierras, dove un lupo mannaro seminava morte tra gli Apaches. Il terrore prendeva forma tra le linee decise e inquietanti dei disegni di Guglielmo Letteri, che da quel momento sarebbe diventato per me l’artista per eccellenza di Tex per storie del genere horror. La copertina di Galep mi aveva subito colpito. Non c’era la faccia della creatura, solo la sua figura pelosa, di spalle, stagliata contro un cielo notturno. Le spalle larghe, la schiena definita, la mano sinistra che sollevava un povero indiano. Quell’immagine era peggio di qualsiasi primo piano: la mia mente riempiva i vuoti, immaginando un muso deformato, denti affilati, occhi che brillavano nel buio.
Dentro, ricordo la figura ieratica e misteriosa di El Morisco, le magie sinistre della strega Mitla e la ferocia animalesca del fratello Guaimas, trasformato in un licantropo assetato di sangue. C’erano branchi di lupi che ubbidivano a una voce antica e maligna, un male che veniva da lontano, dalla notte dei tempi e dagli altari di pietra degli Aztechi.
Non ho mai avuto il cuore in gola quando leggevo il mio Tex, ma di sicuro in quel caso ammetto di aver vacillato; non riuscivo a smettere di leggere.
Fu quella sera, sotto il tavolo della cucina di nonna Rosa, che scoprii due cose: che l’orrore può avere il volto affascinante dell’avventura, e che Tex non era solo un fumetto, ma un mondo più grande, più oscuro, più vero. E fu anche la sera in cui cominciai ad amare davvero il segno potente e vivo di Guglielmo Letteri, un nome che ancora oggi, ogni volta che lo leggo, mi riporta là, sotto quel tavolo, con gli occhi pieni di paura e meraviglia.
Ho riportato parte di questo racconto anche nell’ultimo libro che ho appena terminato di scrivere, insieme al Quaderno del Tex n. 6. Entrambi i lavori sono stati mandati in stampa alla fine di luglio.
Del Quaderno conoscete già l’argomento; il libro, invece, affronta i pochi e ultimi, ma essenziali, swipes che chiudono il lungo ciclo dedicato a questo tema, già esplorato in numerosi volumi precedenti. È però soprattutto incentrato su altri filoni, come ad esempio: i mostri nella letteratura a fumetti, l’importazione di modelli sexy del comics americano in Italia, e altre esposizioni che spero troverete stimolanti.
Si tratta di un progetto che giaceva da tempo nel cassetto e al quale ho finalmente deciso di dare vita cartacea, con grande entusiasmo. Purtroppo, gravi errori tipografici hanno raffreddato non poco quell’entusiasmo: le copie pervenutemi sono da mandare al macero. Vedremo se a settembre la tipografia riuscirà a rimediare e a consegnarmi entrambi i lavori in tempo, anche perché l’uscita del Quaderno è ormai diventata un appuntamento sempre più atteso dagli appassionati.