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Francesco Bosco [04/06/2025]
Il fumetto popolare di un tempo si fondava sulla genuinità dell’avventura, sulla fantasia degli autori e su una narrazione capace di accendere l’immaginazione. Ogni pagina era un sogno, un divertimento puro, qualcosa che si condivideva con entusiasmo tra coetanei. E spesso quelle storie si trasformavano in gioco: chi non ha mai impersonato un indiano o un cowboy, Tarzan nella giungla, o un marine in guerra, tra una partita di pallone e l’altra?
Oggi il fumetto sembra spesso aver perso quella leggerezza. Prevale l’intento didascalico, il realismo storico, il messaggio politico… e con essi se ne va anche il sogno. È per questo che, quando rivedo il Panthom tuffarsi da un motoscafo in una baia disegnata con eleganza alla Sy Barry, mi domando se quei sogni siano davvero finiti.
Personalmente, credo che quel tipo di fumetto avventuroso sia ancora attuale, e che potrebbe parlare anche al lettore di oggi. È lo stesso pensiero che ho quando rifletto su Tex: se venisse proposto nella sua forma classica - che significa innanzitutto un certo linguaggio, un tono ben preciso - potrebbe forse restituire vitalità a un personaggio che, nella sua versione attuale, appare spento.
Del resto, tutto oggi sembra aver perso smalto: il calcio, la musica, il cinema… persino una partita di tennis fatica ad appassionare. Forse è proprio per questo che sentiamo la mancanza di un certo tipo di racconto, capace di farci sognare a occhi aperti.
Ma poi… qual’è stata la più grande sorpresa editoriale degli ultimi vent’anni?
Dai, ditemelo!
Sara stata mica il Tex di CSAC del gruppo Espresso-Repubblica che con i suoi 28 milioni di volumi ristampava le avventure di un filibustiere con le Colt che assieme al vecchio amico banchettava nei saloon paesani con bistecche, patate fritte, pinte di birra e torte di mele?