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Sandro Bongarzoni [18/05/2025]

Moebius e la fantasia

In un universo dove la maggior parte dei fumettisti si muove all’interno di binari narrativi e grafici ben definiti, Moebius è stato un esploratore di dimensioni ignote. La sua fantasia, libera e selvaggia, non si è mai accontentata di raccontare storie: le ha generate come sogni lucidi, al di fuori delle regole della logica, dello spazio e della sequenza.

Come Sergio Toppi, anche Moebius ha percepito la gabbia del fumetto classico — la griglia di riquadri regolari, l’ordine gerarchico della narrazione, l’illusione della realtà — come un limite da superare, se non da distruggere. Nei suoi mondi, il tempo non scorre in linea retta, i paesaggi mutano come visioni psichedeliche, e i personaggi sono sciamani, cavalieri interstellari, profeti del possibile. Tutto, nel suo segno, è insieme astratto e dettagliato, irreale ma vivido, come se l’inconscio si fosse impadronito della matita.

Moebius non illustrava semplicemente dei racconti: li evocava. Le sue tavole respirano di una libertà compositiva che sfida ogni regola accademica — il riquadro diventa spiraglio, finestra su mondi fluidi in cui la materia può trasformarsi in idea e viceversa. Era un narratore per immagini che rifiutava la linearità, costruendo invece architetture oniriche, dove ogni elemento si collega all’altro per affinità sensoriale più che per coerenza narrativa.

Il risultato è un’arte visionaria che non si può semplicemente “leggere”: si deve attraversare. Moebius ha fatto del fumetto un’esperienza mentale, un territorio dell’immaginazione pura. Non a caso è stato ispirazione per cineasti, pittori, sognatori. Perché la sua vera forza, alla fine, è stata quella di mostrare che la fantasia non è un’evasione, ma una forma superiore di realtà.