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Francesco Bosco [31/12/2024]

Ho avuto fortuna

Ho avuto fortuna! Ho iniziato la mia storia con Tex a 12 anni con quella che unanimemente è definita la miglior storia di sempre del ranger, Sulle Piste del Nord. Anzi, fortuna doppia, perché la seconda è stata Il Tranello, altra nordica di rara bellezza che appariva nel n. 10, giornalino che sottrassi con maestria non comune ad Armandino, un ragazzino più piccolo di me, che aveva la cattiva abitudine di mostrarlo assieme ad altri Tex dal pianerottolo della sua casa posta al primo piano di una palazzina di cortina che dava proprio sul campo dove ci riunivamo tutti i giorni. Armandino non leggeva né Tex, né altri fumetti: aveva due tre anni meno di me, ed era ricco. Ricco perché suo padre, un signore altissimo ed assai elegante, era titolare dell’unica agenzia di assicurazioni del paese. Ricordo quest’uomo che tornava tutte le sere con il giornale e qualche rivista sotto braccio. Sua mamma, probabilmente una semplice casalinga che non passava certo inosservata in un paese come Fiumicino, terra di antiche misture tra mare e terra… pescatori napoletani e contadini veneti, aveva una faccia moderna. Era, diciamo, una donna sullo stile di Katharine Ross, non così bella, ma in possesso di lineamenti che la staccavano dalle altre donne del paese. Ah, diamine, aveva anche la patente di guida. La incontravo spesso nella salumeria di fronte casa mia (ero io che facevo la spesa, perché due bocconcini Pettinicchio mi rendevano 150 lire circa: un Topolino. Ed io, due Pettinicchio, li imboscavo nella busta del pane prima di passare alla cassa dove c’era la signora Belardo) e mi toccava controllarle gli acquisti. E sapete perché? Perché mia mamma e mia zia volevano sapere se la signora Molinari aveva preso l’olio di oliva, sì l’olio d’oliva, una cosa rara a vedersi nei market dell’epoca e rarissima a vedersi sulle tavole delle famiglie meridionali come la nostra. Né olio d’oliva, né sale fino, tanto che la domenica si condiva l’insalata molto tempo prima per permettere al sale grosso di sciogliersi. E proprio davanti al piccolo Market dei Belardo tutte le mattine d’estate faceva la consueta sosta il carrettino dei giornali di Claudio (in partenza dal capolinea della ferrovia che attraversava il paese), dove nell’estate del 1966, mentre compravo il mio Topolino, ci avevo visto Duello Apache di Tex. Ma questa è una storia già raccontata. 

Ritornando ad Armandino, sbandierare i suoi giornalini per tentare di guadagnarsi un posto nella estenuante partita di calcio che iniziava alle due del pomeriggio e finiva al tramonto, gli era stato fatale: quel 10 finì nelle mie mani. E con esso, in seguito, anche il 24, il 34 (spaginatissimo), il 53, il 74, l’82 e l’88, di cui amai subito la copertina.

L’episodio che invece mi portò in casa Tamburi di Guerra e Giubbe Rosse ha uno scenario paradossalmente inverso: ero io stavolta a sventolare i giornaletti alla finestra, tentando di attirare le attenzioni di un mio amico che era noto per essere uno pieno di Topolino. Vediamo se riesco a farvi scivolare dentro ‘sta storia.

Era un assolato giorno di agosto, di quelli che si sentiva solo il frinire dei grilli. Sotto casa mia c’era un canneto con al centro una specie di stagno animato da rane gracidanti e da un “sorridente” ramarro che ogni tanto vedevo frusciare tra gli arbusti, (Eugenio Montale mi fece ricordare anni dopo questa scena, nei famosi versi di “Meriggiare pallido e assorto”). Saranno state le due, le tre del pomeriggio. Attaccata al telaio della tapparella basculante della mia finestra al primo piano, vi era una corda di 5-6 metri al cui margine estremo avevo annodato una calamita che lanciavo di sotto per pizzicare un po’ di ferraglia sparsa nel campo. Un passatempo che può inventarsi solo un piccolo e scoglionato recluso. Ed io lo ero, visto che ogni anno, nei mesi estivi, avevo da svolgere quella palla dal titolo: compiti per le vacanze. Tutto questo tran tran era semplicemente clandestino. Mia madre in quelle ore riposava - un’altra abitudine dei centromeridionali - sicura del fatto che il più bravo della classe non avrebbe mai potuto perdersi in uno scambio di giornalini. Invece così fu. Il mio amico infatti s’era fatto sotto… io avevo prontamente staccato la calamita, legata alla corda una busta piena di Topolino, Almanacchi e Albi della Rosa, e calato giù il carico. Dopo nemmeno mezzo minuto ero già lì a richiamare la corda con il nuovo carico, mentre il mio amico se ne andava dalla scena con una certa fretta. Tamburi di guerra fu il primo fumetto che notai… era assieme a Giubbe Rosse, ma, in fondo alla pila… un interminabile mazzetto di romanzi! Niente Topolino (a distanza di anni ricordo che è possibile vi fosse un Joe Sub, anche se non potrei giurarci. Joe Sub era un nero dalle copertine audaci - a quei tempi una lettura pienamente conturbante - che nascondevo nel lavatoio del terrazzo, affinché mia madre non lo scoprisse. Forse proveniva proprio da quella busta). Comunque, dalla arrabbiatura passai lentamente alla curiosità. La prima pagina del n. 123 aveva dei disegni bellissimi, e i disegni, come per Topolino, erano il mio culto. Fortunatamente non avevo il vizio di sfogliare gli albi (come faccio oggi), così cominciai a leggere quel racconto dalla prima pagina. Ne fui talmente rapito, racconta mia madre, che rimasi in piedi, lì davanti alla finestra, fin quasi le 7 di sera. Stavo probabilmente passando dalla curiosità alla meraviglia. Quel Tex che avevo visto dentro la cesta del carrettino di Claudio nell’estate del 1966 mi appariva ora sotto un’altra luce.