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Emanuele Mosca [16/09/2015]
In un’intervista di molti anni fa, alla domanda sui suoi punti di riferimento per il disegno, così rispondeva Giovanni Sinchetto: “Io ho sempre guardato a Raymond, ho seguito passo passo la sua carriera, dal personaggio di Gordon fino a Rip Kirby”. Ed era inevitabile. Perché il grande Alex Raymond è stato davvero la prima rockstar del fumetto, influenzando decine di disegnatori.
Il mitico Sinchetto è nato a Torino il 5 aprile del 1922. Durante gli anni della seconda guerra mondiale è stato un ufficiale dell’aeronautica, a Saubadia, poi dipendente della Stipel (Società Italiana per l’Esercizio Telefonico, in seguito divenuta la Sip e oggi Telecom) e infine maestro dispensatore di sogni. Terminata la guerra, insieme a due insegnanti delle elementari con la passione per il disegno avrebbe formato il trio ESSEGESSE. Fulmine Mascherato è il suo primo fumetto, una sorta di avventuriero mascherato pubblicato dalle edizioni Juventus che ha il pregio di esser stato un banco di prova per lui. Alcune storie di questo personaggio sono state scritte dall’onnipresente G.L.Bonelli, il leggendario papà di Tex.
Nel 1952 un’altra prova da “solista” con la storia I Fuorilegge di Rockdale pubblicato su Ardito, una collana della casa editrice Dardo. Il numero 7 di questa serie è forse l’unico, nell’incredibile carriera del Nostro, ad avere sulla copertina la sua firma.
Insieme a Dario Guzzon e Pietro Sartoris darà vita graficamente alle prime straordinarie serie di Kinowa, scritte da Andrea Lavezzolo e, in proprio, a due colossi del fumetto popolare degli anni cinquanta: Capitan Miki e Il Grande Blek. ”Allora eravamo pressati dalla critica, dai censori, che ci accusavano di fuorviare i giovani” ricorda Sinchetto rievocando quegli anni, ma nonostante la stupidità di certa classe politica e religiosa sono milioni i ragazzi “deviati” dalle storie targate ESSEGESSE.
L’apice grafico della sua carriera di disegnatore l’ha senz’altro raggiunta con Il Comandante Mark, a cavallo tra gli anni sessanta e settanta: le foreste di abeti, i fortini diroccati sulle rocce dei laghi, gli avamposti dei trappers e i wiwgams indiani; e ancora: i magnifici primi piani di Betty, Mister Bluff, Gufo Triste e l’allegra compagnia dei Lupi dell’Ontario, i giochi di ombre, le pennellate vigorose e la china morbida, “classicheggiante”, ma così ricca nei particolari, mai lasciati al caso. Un disegno immediato e riconoscibile. Ma Sinchetto aveva soprattutto il dono della “regia”: nelle sue meravigliose tavole i personaggi recitano, sono posti in modo impeccabile, e la composizione degli spazi, insieme alla collocazione di ogni oggetto, è sempre armoniosa.
Per il Comandante Mark ha realizzato quasi tutte le cover della serie Araldo, più svariate copertine per l’edizione francese (Cap’tain Swing), e prima del suo ritiro, avvenuto nel 1987, ha disegnato da solo una decina di episodi della saga, con l’immancabile piccolo contributo di poche tavole firmate Sartoris. La statua che uccide (Araldo numero 67) è un albo totalmente disegnato da Sinchetto, così come La banda di Black Jim (Araldo numero 77): una storia che non ha subito gli interventi dei suoi due amici e colleghi. Un “tutto Sinchetto”, per quanto mi è stato possibile appurare nell’ennesima – e affezionata – rilettura della serie di Mark. Ancora oggi, quando si pensa al trio della ESSEGESSE ci sono molti aspetti del loro modo di lavorare mai svelati del tutto, ed è difficile collocare la loro opera in un quadro cronologico attribuendo a ognuno la paternità di una tavola o i dialoghi di una storia. Erano, com’è noto, perfettamente interscambiabili.
Secondo le pochissime testimonianze di chi l’ha conosciuto, Sinchetto era un personaggio tipicamente piemontese, un uomo ricco di ironia e con quell’approccio distaccato verso le cose e il mondo. Amava la pipa ed era una persona di altri tempi, mi verrebbe da dire un gentiluomo. Sergio Bonelli, nella posta di Tutto Mark numero 14, secondo me fa emergere un lato più chiaro della sua personalità: “Sinchetto veniva raramente in redazione, quasi mai è apparso in pubblico alle manifestazioni fumettistiche o si è concesso alle interviste […] lavoro, una mole immensa di lavoro, e nessun protagonismo personale, nessuna vanità”. Un quadro perfetto. Un artista, ma anche artigiano, uno di quei personaggi che si possono trovare seduti nei pressi delle banchine dei porti quando scende la nebbia mentre, con sorriso divertito, scruta l’orizzonte. Un personaggio tipicamente “essegessiano”, direi.
Nel gennaio del 1991 il mitico Sinchetto muore in ospedale a causa di una malattia che, negli ultimi mesi della sua vita, lo aveva costretto a rinunciare al disegno. Qualche minima incertezza sulle ultime copertine per le ristampe Dardo degli anni novanta di Capitan Miki e Il Grande Blek ce ne danno atto. Ma il tratto era sempre quello di un tempo: inimitabile. Il dispensatore di sogni, raccontano le leggende, prima di morire aveva regalato alcuni suoi disegni al personale medico, dove era ricoverato, in segno di ricordo e di affetto. Come in un racconto amaro e malinconico di Buzzati.
Forse da buon fumettista voleva lasciare il segno, l’ultimo, di una vita passata sul tavolo da disegno.