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Francesco Bosco [13/10/2013]

ALASKA, LA STORIA

Affaticato dalle fatiche della kermesse bolognese, dove la cosa più bella è stata quella di mangiare della buona pizza, dei gustosi taralli napoletani dell’amico Emilio e della treccia vicentina del vicecapo di BS Mauro assieme agli amici vecchi e nuovi (benvenuto al giovane Marco, cacciatore di NC e prime edizioni), pensavo di non riuscire ad avere le forze per mettermi a leggere il terrificante “Alaska” avendo, peraltro, programmato una domenica mattina di totale riposo… ed invece, incuriosito dalle parole del vicecapo che in sostanza mi spingevano a schiarirmi le idee da solo senza farsi coinvolgere dai giudizi di una folla intenta a menar randellate a destra e a manca – fatta eccezione per alcuni lettori-, ho preso l’albo in mano, mi sono sdraiato sul divano e, succo d’arancia di lato, sono partito per l’avventura.

Nelle prime due pagine avrei tolto subito un paio di balloon “spiegazionistici” ma, ok, ho detto: si va avanti! E così pian piano la storia si è fatta sotto coinvolgendomi discretamente… e più i disegni peggioravano e più la storia si faceva interessante. Non nego che il pensiero andava spesso al fatto che se al posto di Fernandez  avessimo avuto un Fusco o un qualsiasi disegnatore che avesse dato un po’ di anima al proprio lavoro questa trama avrebbe goduto di una critica più favorevole e giusta… e infatti alla fine della lettura ho percepito le stesse sensazioni che si vive il sottoscritto quando non arrivano colori e sonorità da parte dell’arrangiatore.

Non è affatto una cattiva storia e se fosse anche vero che lo stesso Boselli l’ha classificata come una delle sue prove peggiori, come mi riferivano ieri a Bologna, mi sento di escludere che questa lo sia.

È buona! Ci sono difetti, aivoglia se ce ne sono, ma non tanto da stroncarla a quel modo.

‘Sto Tex che girà, ad esempio, attorno ai personaggi, è ormai diventato palloso: davvero sembra l’anchorman carismatico di storie come Caccia Infernale e, visto che dovrebbe essere il contrario, la cosa comincia ad infastidire. Poi, lo ripeto e lo ripeterò ogni qualvolta me ne capiterà occasione, in una storia di “largo respiro” e di ambientazione naturalistica, qual’è Alaska, non possono mancare le didascalie. Proprio no! E non importa se lo stile letterario dell’autore non le preveda, facciamo uno strappo alla regola sennò chi cristallizza il racconto è proprio colui che critica i lettori di volere l’immobilismo "alla Bonelli".

Ma, a parte cose che diciamo da qualche tempo, letta ad “occhi chiusi”, la storia ha anche dei pregi ed è figlia di quella narrazione cinematografica le cui componenti sono la spettacolarizzazione degli eventi lungo un percorso irto di insidie e diversamente affascinante poiché essa si svolge lontana dai luoghi d’origine. In fondo il Maxi è la storia che abbiamo in più delle cinque o sei del mensile ogni anno e non sarebbe una cattiva idea se lo si trasformasse in un appuntamento “esotico” fisso: il Texone all’ospite grafico, il Maxi ai viaggi nei paesi lontani.

Di Fernandez non so più cosa dire: forse che l’ha salvato Boselli?

E degli inorriditi dal Mostro Trampoliere? Calma, ormai lui s’è afflosciato… è il Tex anchorman che pare ancora stare in piedi vivo e vegeto.