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La leggenda

Mauro Scremin [08/03/2009]

LA VALLE DELLA LUNA

Il figlio del Grande Spirito

Mescolare generi diversi è una specialità di G.L. Bonelli, con il tempo è divenuta quella marcia in più che ha decretato la fortuna editoriale del ranger più famoso del West. Anche in questa circostanza la formula è quanto mai indovinata, l’alchimia ha prodotto un piccolo gioiello di fantascienza western, una vicenda da incubo nella quale il lettore viene introdotto un po’ alla volta per trovarsi alla fine preso in una morsa di orrore e mistero in un crescendo di tensione e di spasimo. La desolazione e la solitudine del paesaggio stesso sembrano pervasi dall’ossessiva presenza di un essere che sfugge alla comprensione umana, un essere che, disceso dal cielo, si muove a suo agio nel claustrofobico mondo dei cunicoli che si snodano nelle viscere della terra.
Un oggetto alieno, per la precisione, era apparso anche nella storia immediatamente precedente: si trattava del famoso Occhio di Manito che tre malintenzionati gettarono in un lago (che per questo divenne scarlatto), una singolare sfera di colore giallo dorato che bastava sfiorare per farle emettere strane melodie e che, a detta di uno dei suoi trafugatori, al tatto dava la sensazione di toccare "una specie di spugna". Un oggetto caduto dal cielo, un dono del Grande Spirito...
In questa nuova storia, invece, aleggia un clima di tensione continua che ricorda la fantascienza in bianco e nero di film come "La cosa da un altro mondo" di Nyby e Hawks dove l’alieno veniva rappresentato come una minaccia per il genere umano.
La bravura di Bonelli (e di Galep) consiste altresì nel dire e non dire, nel suggerire senza mostrare, nel coinvolgere il lettore facendolo fantasticare e lasciandogli il compito di risolvere il mistero, che non viene mai svelato, della sorte toccata all’extraterrestre. Ma, ad una attenta lettura, la storia è comunque disseminata di indizi rivelatori e curiosi, a partire dall’aspetto fisico dell’alieno, un essere che comunica telepaticamente con gli umani e che possiede un sesto senso che gli permette di percepire il pericolo in anticipo. E che cos’era quell’oggetto, quella cosa, che emerse dalle profondità della terra nella miniera di Fresno e che lasciò uno "strato di polvere finissima" sul quale erano impresse delle strane impronte "come se un gigantesco polipo fosse uscito dalla buca e avesse appoggiato sulla polvere i suoi tentacoli"?
Lo stesso Fresno aggiunge qualche altro particolare, non meno raccapricciante, quando narra il suo contatto ravvicinato con quell’essere, una cosa che di umano aveva ben poco: "due occhi verdi e cattivi", una pelle squamosa come quella dei rettili, "scura come se fosse stata esposta a un sole molto forte". Ma qualcosa di veramente impressionante fu la sensazione che provò nello stringere il braccio di quell’entità dall’apparenza umana, un braccio dalla strana consistenza corporea che gli diede "la stessa sensazione che si prova stringendo una spugna o un fascio di corde inzuppate d’acqua". Lo stesso Tex osservò, tra l’altro, come quello strano individuo fosse "a prova di pallottola" poiché, pur essendo stato colpito più volte, non aveva lasciato tracce di sangue. Niente carne, niente muscoli, niente sangue, niente di umano. Gli Apaches Chiricahuas lo veneravano come il figlio del Grande Spirito...

("Tradimento" e "La rivolta", nn. 55-56)