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La redazione [24/04/2020]

Cara vecchia tinta unita

A prescindere dalla stucchevole litania di commenti che immancabilmente parlano di questa copertina come “la copertina dalle sei dita”, in quanto disegnata inizialmente da Galleppini con un dito in più alla mano sinistra di Tex, vorremmo porre l’accento sull’intuizione che quelli della Rizzoli hanno avuto nel proporla, ossia con un impatto di minimalismo grafico tanto caro al Tex di Sergio Bonelli.

Questa “Dakotas”, minimalista lo è forse un po’ troppo, ma non vi è alcun dubbio che brilli per come morde l’anima del lettore: un vero “crack” per gli scaffali di un’edicola dei nostri giorni! Distinguibile e comunicativa allo stesso tempo. E non avremmo alcun dubbio che bere dalla fonte originale sia, ancor oggi, produttivo e comunicativamente molto diretto, naturalmente usando i vecchi elementi all’interno di nuove combinazioni di linguaggio grafico. Sì, la “Dakotas” della Rizzoli è forse troppo minimalista e diretta, usa un visual monolitico verso cui si concentra tutta la nostra attenzione, mancando l’elemento di contrasto umano o naturalistico. Bella però la scelta giallo su giallo, un’idea che funziona tantissimo e stimola non poco l’immaginazione; ricorda un po’ una delle copertine più affascinanti di Tex e di cui si è sempre parlato poco e a sproposito: “Il laccio nero”. Ovviamente, esistono diverse scuole di pensiero in tal senso, ma dietro ad ogni successo c’è sempre una scelta vincente: la cover de “Il laccio nero” è assolutamente vincente, così come lo sono le storiche “L’asso nella manica”, “Wanted”, “Lo sfregiato”, “Condor Pass”, ecc… Copertine che evidentemente hanno sedimentato nella mente di chi ha elaborato la bella “Dakotas!”.

Note: la cover di Galleppini è dapprima pubblicata sull’Albo d’Oro n. 2 della settima serie (“Partita interrotta”, 15/7/1959) e successivamente riadattata nel gigante seconda serie n. 29, dal titolo “Il Coyote Nero” (1963); la fonte di Galep fu “Colt Comrades”, un paperback americano, la cui cover è illustrata da Frank McCarthy.